mercoledì 23 settembre 2009

Giochiamo?

Quando si partecipa ad un gioco bisogna accettare le regole e credere alla serietà di quello che si sta facendo, se non si vuole ricadere nella categoria del baro o, peggio ancora, del guastafeste che Huizinga individuava in un saggio del ’35.
La natura del gioco è tale che esso continua ad esistere anche in assenza di giocatori, i quali di volta in volta potranno riattivarlo ma non reinventarlo (a meno di non tradirlo, trasformandolo in qualcosa di diverso).
Come ci ricorda Jopili nel suo articolo per OV 9, questa situazione si ritrova tale e quale in narrativa (tanto meglio se si tratta di narrativa seriale, fortemente basata su tutta una serie di richiami e rimandi che contribuiscono a darle robustezza e carattere), dando luogo a un risultato superiore alla somma delle parti, cioè qualcosa che una volta staccatosi dall’autore inizierà a vivere di vita propria, dettando le regole al suo stesso creatore. Il potere della Continuity è proprio questo: imporsi, per il solo fatto di esistere, come condizione necessaria perché il gioco possa essere giocato.
E niente è così maledettamente serio come un gioco.

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